domenica 17 marzo 2019

Recensione di "È da lì che viene la luce" di Emanuela Ersilia Abbadessa, Edizioni Piemme

Recensione di "È da lì che viene la luce" di Emanuela Ersilia AbbadessaEdizioni Piemme
Uno stile letterario magistrale. Un romanzo coraggioso. Ci vuole coraggio e una grande maestria per trattare certi argomenti. Argomenti assolutamente attuali con i quali, però, si rischia di scottarsi. L'autrice lo fa con sicurezza, con bravura e con uno spalancato amore per i “diversi”. Perché per parlare di odio verso gli stranieri, gli omosessuali e per coloro che apparentemente escono fuori dai binari di quella che chiamiamo normalità, descrivendo l'ignoranza e la cattiveria, fedeli compagne del razzismo, bisogna prima di tutto conoscere l'amore. E la Abbadessa parla dell'amore senza mezzi termini: “Seppe allora che il vero amore amava le persone amate da chi si ama. E aveva più potere dell'odio che, invece, per esistere doveva essere provato in prima persona. L'amore no, quello godeva del piacere altrui e, se era vero, non voleva legare a sé, piuttosto lasciava liberi”.
È quindi simbolica la storia del barone Ludwig von Trier, non conscio di essere omosessuale, stabilitosi in un'Italia fascista dove gli omosessuali venivano spediti al confino perché considerati anormali e pervertiti.
Siamo nel 1932, in piena era fascista. Il barone Ludwig von Trier, trasferitosi a vivere in Sicilia, a Taormina, per motivi di salute, si distingue dagli altri abitanti non per l'aspetto fisico, ma perché con sé porta sempre un oggetto particolare, una macchina fotografica: una Rolleiflex. C'è chi disegna e chi fotografa. Lui fotografa. E, come per chi disegna, per fotografare occorre avere una certa sensibilità. Quest'ultima a Ludwig von Trier non manca di certo, dotato com'è di una grande capacità d'osservazione.
Lui ha ben chiaro quello che sta accadendo in Italia. Non c'è tutto quel benessere di cui si parla a Roma. Lui lo vede benissimo che il popolo siciliano arranca per sopravvivere. Così gli viene l'idea di fotografare la realtà per raccontare attraverso la fotografia ciò che davvero accade in Sicilia.
Sebastiano Caruso, giovane di bell'aspetto, orfano di padre con un madre sottomessa e arrendevole e un fratello fascista convinto, rimane affascinato da quella macchina fotografica che il barone tiene tra le mani, e dalle sue fotografie. Decide di offrirsi come suo assistente e modello. Da quel momento la vita del giovane cambierà così come quella del barone che educa Caruso alla “bellezza” insegnandogli che “Dove c’è molta luce c’è anche molta ombra”.
Il romanzo è liberamente ispirato alla storia del fotografo tedesco Wilhelm von Glöden. Parla di libertà, sia di pensiero che di costume, e insegna che solo l'amore può salvarci, a differenza dell'odio, sentimento che serpeggia nei “meandri più bui dell'animo umano”. L'odio non può che renderci schiavi dell'ignoranza, della mediocrità, della superficialità rendendoci prigionieri di noi stessi. E non c'è peggior prigione della nostra mente quando questa, non ascoltando il cuore, non lascia spazio all'amore.
Un romanzo assolutamente da leggere!

Nessun commento:

Posta un commento