lunedì 30 marzo 2020

Recensione di "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin Edizioni E/O

Recensione di "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin Edizioni E/O
"Cambiare l’acqua ai fiori" è uno tra i romanzi più belli che io abbia letto in vita mia. E di romanzi ne ho letti tantissimi.
Un romanzo affascinante la cui struttura è stratificata su più piani narrativi. Il passato s'incrocia e si intreccia con il presente. Storie di vita raccontate con sensibilità e trasporto.
“Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.
Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.”
All'inizio di ogni capitolo compare un’epigrafe funeraria: ma bastano davvero poche parole per ricordare un nostro caro defunto?
Violette è un personaggio femminile sensibile, dotato di una grande generosità perché mette da parte il suo dolore per occuparsi del dolore degli altri. Una storia colorata e profumata come i fiori, quei fiori che vengono innaffiati dalle lacrime e accarezzati da mani morbide che sanno prendersi cura di loro.
Siamo davvero quello che abbiamo vissuto o dentro ai nostri armadi c'è molto di più dei vestiti che indossiamo?
La narrazione è così sorprendente che il lettore passa attraverso diverse sensazioni non perdendo mai di vista il fatto che la vita e la morte sono come il presente e il passato, prima o poi s'incontrano e s'intrecciano. E lì tutto finisce. Non siamo nulla se non un ricordo per chi vorrà ricordarci. Non sapremo mai se dolce o amaro.
“I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità. Non leggono, non pagano tasse, non fanno diete, non hanno preferenze, non cambiano idea, non si rifanno il letto, non fumano, non stilano liste, non contano fino a dieci prima di parlare, non si fanno sostituire. Non sono leccaculo né ambiziosi, rancorosi, carini, meschini, generosi, gelosi, trascurati, puliti, sublimi, divertenti, drogati, spilorci, sorridenti, furbi, violenti, innamorati, brontoloni, ipocriti, dolci, duri, molli, cattivi, bugiardi, ladri, giocatori d’azzardo, coraggiosi, fannulloni, credenti, viziosi, ottimisti. I miei vicini sono morti. L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano.”


lunedì 16 marzo 2020

Recensione de "Il mio paese inventato" di Isabel Allende, Giangiacomo Feltrinelli Editore

Recensione de "Il mio paese inventato" di Isabel AllendeGiangiacomo Feltrinelli Editore
Il romanzo non ha una trama ben definita. È un diario, sono pagine di ricordi che la Allende scrive con cura e amore. Sono pagine cariche di nostalgia. La Allende ci racconta gli anni della sua infanzia, del suo amore per il nonno, della sua formazione, educazione, del colpo di Stato, della dittatura, dell'esilio. Racconta dei suoi affetti, di tutti i suoi amori, dei suoi figli.
Narra di un paese “inventato” perché costruito e basato suoi ricordi. È fortemente orgogliosa del suo paese, del suo Cile, della sua gente, torturata e violentata.
“Scrissi per sfogare la mia angoscia... Sono stata forestiera per quasi tutta la vita, condizione che accetto perché non posso fare altrimenti. Diverse volte sono stata costretta a partire, sciogliendo legami e lasciandomi tutto alle spalle, per cominciare da zero in un altro posto; ho vagato per più luoghi di quanti possa ricordare. A forza di dire addio mi si sono seccate le radici e ho dovuto generarne altre che, in mancanza di un terreno in cui fissarsi, mi si sono piantate nella memoria; ma attenzione, la memoria è un labirinto dove i minotauri sono in agguato...”
La sue capacità narrative e descrittive, la dolcezza con cui descrivere emozioni, gioie e dolori, rendono questo romanzo una lezione di vita, un viaggio dal quale si ritorna cambiati, pentiti di aver spesso costruito muri davanti a noi e di aver dimenticato, fino a quasi non saperlo più fare, il più grande gesto d'amore: il perdono.

domenica 1 marzo 2020

Recensione de "La ragazza che sorrideva sempre" di Alessandro Reali, Fratelli Frilli Editori

Recensione de "La ragazza che sorrideva sempre" di Alessandro RealiFratelli Frilli Editori
«… sono state strangolate, spogliate e lasciate lì, con le gambe divaricate. Ma l’autopsia ha dimostrato che non c’è stata violenza carnale...
La ragazza che sorrideva sempre è la nuova avventura di Sambuco e Dell’Oro, impegnati a indagare sulla morte apparentemente senza movente di Federica. Come attori di un dramma, vediamo sfilare una serie di personaggi protagonisti sulla stessa tela, una città della provincia italiana del nord; subdoli, angosciati, falliti, grotteschi e torbidi, tra gelosie e ripicche, odi antichi e nuove rabbie, rivalse e invidie mascherate. Una storia che affonda le radici nel passato: un omicidio avvenuto molti anni prima, un mistero solo in parte risolto.»
Sorprendente questo ultimo lavoro di Alessandro Reali. L'autore non si risparmia, lasciando più volte il lettore disarmato davanti al tanto “male” descritto nei minimi dettagli.
Federica è una ragazza perfetta, figlia di una nota famiglia pavese, gentile, sempre pronta a stare dalla parte del più debole, una ragazza solare che a detta di tutti sorrideva sempre. Eppure viene trovata morta ammazzata. Qualcuno l'ha strangolata e lasciata nuda dalla cinta in giù a gambe aperte. Dall'autopsia, però, emerge un fatto che lascia la polizia perplessa: non è stata violentata. Il padre, amico di Sambuco, lo interpella, pregandolo di indagare sull'omicidio così terribile della figlia.
Ed ecco che subito a Sambuco balza agli occhi un dettaglio: nel 1984, la fidanzata del padre di Federica, era stata uccisa con le stesse identiche modalità.
Sambuco e Dell'Oro si mettono al lavoro partendo proprio dal 1984.
I personaggi che ruotano intorno ai due protagonisti sono tanti e tutti ben caratterizzati. Niente è superfluo, tutto ciò che viene narrato è necessario per arrivare alla conclusione della storia.
Alla base di tutto c' è un orrore che viene da lontano e un orrore, al contrario, del presente che, come una spada di Damocle, pesa su tutti i personaggi.
Un romanzo giallo di notevole spessore, ricco di introspezione psicologica, che fa riflettere mettendo in luce i sentimenti.
Reali supera se stesso mostrando e raccontando che il male esiste, che fa parte di noi.
«Stavo cercando da tempo la futura vittima ideale: io sono un cacciatore ben mimetizzato nel suo abito di studioso tranquillo, ma la ricerca della preda è una fonte perenne di vitalità e piacere, all'oscuro di tutti.»
«Occorre ritrovare la vita, la vita buona o quel che ne rimane. La voragine di cui parli è purtroppo un orrore reale. A un certo punto, quando si soccombe al male ci accorgiamo che l'unica speranza, per quanto fragile, è il recupero, se non proprio di una visione positiva, almeno di un gesto umano verso il mondo e, soprattutto, verso noi stessi. Non abbiamo molto altro per difenderci da questo inferno».
Un giallo dalla G maiuscola!