venerdì 29 marzo 2019

Recensione de "L'uccello padulo" di Giovanni Jacob Lucchese, Alter Ego Edizioni

Recensione de "L'uccello padulo" di Giovanni Jacob LuccheseAlter Ego Edizioni
Per questo libro deve spendere due parole sull'autore che non conosco personalmente ma solo attraverso fb. Lo conosco nel senso che siamo 'amici', e lo siamo diventati perché gli ho chiesto 'l'amicizia'. E perché gliel'ho chiesta? Perché Lucchese scrive per la casa editrice Alter Ego alla quale ho deciso di affidare il mio primo giallo che uscirà a fine maggio. Seguendo i post della casa editrice vien da sé conoscere un po' dei suoi autori. Voi mi chiederete cosa c'entra tutto questo con la recensione del libro? C'entra, eccome se c'entra. Se non fossi rimasta colpita dalla simpatia dell'autore, dai suoi post dai quali traspare amore per la vita, post ricchi di gioia che mandano messaggi positivi (ce ne fossero di più di post così), post dove l'autore condivide con gli altri la sua passione per la scrittura senza ostentare mai i suoi successi, gioendo però per i successi degli altri, post dove l'autore pubblica selfie simpatici sapendo benissimo di non essere bello come Brad Pitt ma (so che certe donne mi capiranno) più intrigante di tanti Brad Pitt (ho passato il mezzo secolo, sono una vecchia infermiera e oramai quello che penso lo dico), probabilmente non avrei mai deciso di acquistare il suo libro. Perché spesso rimaniamo ancorati alle nostre “preferenze”: ci piacciono i gialli e leggiamo gialli, ci piacciono i romanzi intimisti e leggiamo romanzi intimisti, non osando, non provando a leggere qualcosa di diverso. -L'uccello padulo- (il titolo è già tutto un programma) è un romanzo sorprendente, irriverente, trasgressivo, intrigante, rabbioso, graffiante ma di un'estrema dolcezza e grande umanità. Come si fa a non innamorarsi di Gianandrea Ludovisi, detto Billo? Un ragazzo ricco, nobile, superficiale, sexy, a un passo dalla laurea (un passo molto lungo), che potrebbe avere tutto ma in realtà non ha niente. Vive a Roma, nel quartiere Parioli, con una famiglia da -Mulino Bianco- ma che in realtà è emotivamente inesistente. Billo ha solo soldi nelle tasche dei suoi pantaloni. Il resto è un vuoto, spesso a perdere. La madre è una donna anaffettiva che vive di acqua e xanax; il padre è più padrone che padre e crede solo nel Dio -soldo-; i fratelli sono inutili. L'unico affetto presente in quelle quattro mura della sua villa di famiglia è la domestica.
I suoi amici sopravvivono alla vita esattamente come Billo: si drogano, si sballano, si ubriacano e fanno sesso in ogni luogo e … buco.
Ma è davvero questo l'unico mondo possibile per Billo? Oppure l'incontro con Mamma Sophie, un travestito, gli mostrerà un mondo diverso, una possibilità di vita diversa che potrà dare un senso alla sua vita? Perché il pregiudizio è dentro la nostra testa, e forse bisogna toccare il fondo, provare un fottuto dolore per capire chi sono quelli che contano davvero nella nostra vita e soprattutto cosa conta nella nostra vita. Forse bisogna quasi morire per ricominciare a vivere davvero.
Una scrittura vivace, serrata, incalzante, mai noiosa ci porta dalla parte di colui al quale non avremo mai pensato di affezionarci, perché questo romanzo compie un piccolo miracolo: ti fa amare una persona a cui non avremo mai offerto un caffè.

domenica 17 marzo 2019

Recensione di "È da lì che viene la luce" di Emanuela Ersilia Abbadessa, Edizioni Piemme

Recensione di "È da lì che viene la luce" di Emanuela Ersilia AbbadessaEdizioni Piemme
Uno stile letterario magistrale. Un romanzo coraggioso. Ci vuole coraggio e una grande maestria per trattare certi argomenti. Argomenti assolutamente attuali con i quali, però, si rischia di scottarsi. L'autrice lo fa con sicurezza, con bravura e con uno spalancato amore per i “diversi”. Perché per parlare di odio verso gli stranieri, gli omosessuali e per coloro che apparentemente escono fuori dai binari di quella che chiamiamo normalità, descrivendo l'ignoranza e la cattiveria, fedeli compagne del razzismo, bisogna prima di tutto conoscere l'amore. E la Abbadessa parla dell'amore senza mezzi termini: “Seppe allora che il vero amore amava le persone amate da chi si ama. E aveva più potere dell'odio che, invece, per esistere doveva essere provato in prima persona. L'amore no, quello godeva del piacere altrui e, se era vero, non voleva legare a sé, piuttosto lasciava liberi”.
È quindi simbolica la storia del barone Ludwig von Trier, non conscio di essere omosessuale, stabilitosi in un'Italia fascista dove gli omosessuali venivano spediti al confino perché considerati anormali e pervertiti.
Siamo nel 1932, in piena era fascista. Il barone Ludwig von Trier, trasferitosi a vivere in Sicilia, a Taormina, per motivi di salute, si distingue dagli altri abitanti non per l'aspetto fisico, ma perché con sé porta sempre un oggetto particolare, una macchina fotografica: una Rolleiflex. C'è chi disegna e chi fotografa. Lui fotografa. E, come per chi disegna, per fotografare occorre avere una certa sensibilità. Quest'ultima a Ludwig von Trier non manca di certo, dotato com'è di una grande capacità d'osservazione.
Lui ha ben chiaro quello che sta accadendo in Italia. Non c'è tutto quel benessere di cui si parla a Roma. Lui lo vede benissimo che il popolo siciliano arranca per sopravvivere. Così gli viene l'idea di fotografare la realtà per raccontare attraverso la fotografia ciò che davvero accade in Sicilia.
Sebastiano Caruso, giovane di bell'aspetto, orfano di padre con un madre sottomessa e arrendevole e un fratello fascista convinto, rimane affascinato da quella macchina fotografica che il barone tiene tra le mani, e dalle sue fotografie. Decide di offrirsi come suo assistente e modello. Da quel momento la vita del giovane cambierà così come quella del barone che educa Caruso alla “bellezza” insegnandogli che “Dove c’è molta luce c’è anche molta ombra”.
Il romanzo è liberamente ispirato alla storia del fotografo tedesco Wilhelm von Glöden. Parla di libertà, sia di pensiero che di costume, e insegna che solo l'amore può salvarci, a differenza dell'odio, sentimento che serpeggia nei “meandri più bui dell'animo umano”. L'odio non può che renderci schiavi dell'ignoranza, della mediocrità, della superficialità rendendoci prigionieri di noi stessi. E non c'è peggior prigione della nostra mente quando questa, non ascoltando il cuore, non lascia spazio all'amore.
Un romanzo assolutamente da leggere!

venerdì 1 marzo 2019

Recensione de "Il matrimonio di mia sorella" di Cinzia Pennati, Giunti Editore

Recensione de "Il matrimonio di mia sorella" di Cinzia PennatiGiunti Editore
Celeste, figlia prediletta. Celeste, la sognatrice. Celeste, amata e corteggiata da tanti uomini. Celeste che oggi si sposa. Si sposerà davvero? Giurerà davvero amore e fedeltà? O ci troveremo davanti ad un suo ennesimo colpo di testa?
Agnese, figlia perfetta. Agnese, che non stupisce mai. Agnese, quella semplice. Quella che tanto sopporta, che ha pazienza, quella che pensa a tutto e tutti. Quella che fa l'infermiera e si stanca. Quella che sa essere moglie, madre e figlia. Agnese è quello che gli altri si aspettano da lei.
Qualcuno ha mai chiesto ad Agnese se davvero sia felice? Se la vita che tutti i giorni ripete come un copione imparato a memoria sia quella che davvero voleva? Qualcuno ha colto i segnali che Agnese sta mandando? Agnese ha un vuoto dentro, un urlo inespresso. Agnese si guarda allo specchio e non si riconosce più. Davvero ama l'uomo che ha vicino? Perché guarda il cellulare sperando che quel medico le invii un sms?
Noi donne siamo state programmate per diventare mogli e madri o possiamo osare di più? Si può essere di più anche se siamo moglie e madri? Possiamo avere il nostro spazio per sognare?
Un libro eccezionale, sbalorditivo, allegro, preciso, pungente. Un libro al quale ti affezioni. Un libro che profuma di tante cose: vita, coraggio, scelte, amore, rabbia, verità.
Per un attimo mi sono detta: "La Pennati, sta parlando di me. Come è possibile?"
Questo romanzo lancia messaggi chiari. Sta a noi lettrici coglierli.
Ci può essere una vita migliore, una scelta più giusta da fare, si può essere leali con se stesse, si può gettare la maschera, si può dire: "Basta! Il mio matrimonio è finito." Si può ricominciare ad amare. Perché “la distanza tra ciò che desideriamo e la realtà non deve diventare incolmabile”. Possiamo fermarci allo stop e farlo per noi.
"Possiamo cercare ciò che ci rende felici, farlo fino in fondo, non accontentarci di una vita tiepida."
Un ottimo stile letterario, vivace che tiene il lettore ancorato alle pagine.
Una storia che scalda, un libro che aiuta, un libro che può salvarti la giornata.