domenica 25 aprile 2021

Recensione di "Quando tornerò" di Marco Balzano, Einaudi editore

 Recensione di "Quando tornerò" di Marco Balzano, Einaudi editore

“Daniela ha un marito sfaccendato, due figli adolescenti e un lavoro sempre più precario. Una notte fugge di casa come una ladra, alla ricerca di qualcosa che possa raddrizzare l’esistenza delle persone che ama – e magari anche la sua. L’unica maniera è lasciare la Romania per raggiungere l’Italia, un posto pieno di promesse dove i sogni sembrano più vicini. Si trasferisce così a Milano a fare di volta in volta la badante, la baby-sitter, l’infermiera. Dovrebbe restare via poco tempo, solo per racimolare un po’ di soldi, invece pian piano la sua vita si sdoppia e i ritorni si fanno sempre più rari. Quando le accade di rimettere piede nella sua vecchia casa di campagna, si rende conto che i figli sono ostili, il marito ancora più distante. E le occhiate ricevute ogni volta che riparte diventano ben presto cicatrici. Un giorno la raggiunge a Milano una telefonata, quella che nessuno vorrebbe mai ricevere: suo figlio Manuel ha avuto un incidente. Tornata in Romania, Daniela siederà accanto al ragazzo addormentato trascorrendo ostinatamente i suoi giorni a raccontargli di quando erano lontani, nella speranza che lui si svegli. Con una domanda sempre in testa: una madre che è stata tanto tempo lontana può ancora dirsi madre? A narrare questa storia sono Manuel, Daniela e Angelica, la figlia più grande. Tre voci per un’unica vicenda: quella di una famiglia esplosa, in cui ciascuno si rende conto che ricomporre il mosaico degli affetti, una volta che le tessere si sono sparpagliate, è la cosa più difficile”
Per scrivere una storia così umanamente profonda, non basta sapere usare bene la penna. No, non basta. Per scrivere una storia così bisogna sapere ascoltare. E non solo. Per scrivere una tale storia bisogna anche sapere osservare nei minimi dettagli il prossimo, offrirgli la nostra attenzione non facendoci distrarre da nulla. Perché è attraverso i gesti e la mimica facciale, quello che viene chiamato -linguaggio non verbale- che gli altri ti racconto veramente le storie. Te le donano, le loro storie, nella speranza che tu ne faccia tesoro.
Marco Balzano ha scritto un romanzo commovente, che punta al cuore. Racconta il fenomeno migratorio. E lo fa con uno stile pacato, con tempi ben scanditi in ogni pagina, così che il lettore abbia tempo di riprendersi da tutte le emozioni che la lettura gli provoca. Del resto in questo romanzo sono le emozioni a farla da padrone: dolore, rabbia, amore, gioia si susseguono, s'impastano dando vita alla “vita”. La vita raccontata attraverso la partenza di una madre che -deve andare- e lo deve fare per i suoi figli. E partire per amore spezza in due il cuore, strappa la pelle, logora i nervi.
Il racconto scorre facendo lo slalom tra la grandezza e la purezza delle frasi, arrivando all'amore, che è il succo di questo romanzo. Un amore che si manifesta nella sua disarmante totalità, davanti alla -camera del sonno- di un ospedale e di fronte ai ricordi che bruciano e pungono con violenza.
Bisogna essere -migrante- per capire cosa significhi trovarsi in questa condizione o basta mettersi dalla parte di chi è costretto a migrare? La risposta è difficile e probabilmente non esiste nemmeno. Io, però, ringrazio l'autore per avere scritto un romanzo di vita così grande e per averlo scritto in questo modo: con umanità. Perché la storia è umanamente sorprendente.
Balzano afferma che la “speranza è una cosa concreta, come la sete. Annoda le viscere e addensa il sangue” e che “la felicità sono il pianto e il riso che esplodono insieme”.
Credo che io non debba aggiungere altro. Voi, invece, se non l'avete ancora fatto dovete leggere questo libro.


sabato 10 aprile 2021

Recensione di "Santa muerte" di Ettore Zanca Ianieri Edizioni

 Recensione di "Santa muerte" di Ettore Zanca, Ianieri Edizioni

"Per le strade di Labella, una città meravigliosa quanto corrotta, si aggira Leonida, un killer prezzolato che ha perso tutto ciò che ama. Ha una gatta di nome Morgana e un soprannome affibbiato: Santa Muerte. Ha appena accettato da una multinazionale un incarico molto particolare. Le sue vittime sono consapevoli, vogliono essere ammazzate e firmeranno anche un contratto per la loro esecuzione che ha delle garanzie precise per il “dopo”. Leonida ascolterà le storie di un gruppo di disillusi dalla vita, da Alessandro, medico che non ha salvato il suo migliore amico, fino a Riccardo, il cui padre si è ucciso e che si rifugia nella musica e Giulia, giovane donna con troppi fantasmi e violenze. Sullo sfondo un concerto epocale e un omicidio. Da quel momento le vite dei protagonisti cambieranno per sempre. Come nessuno, nemmeno Santa Muerte, aveva previsto."
Una bellissima e avvincente storia che, ammetto, e lo faccio con profonda invidia, avrei voluto scrivere io. Mi scuso anticipatamente con l'autore se ciò che sto per dire potrà risultargli offensivo, ma io e lui abbiano una cosa in comune: la capacità di cogliere storie di vita. Forse addirittura di rubarle queste storie. E tutto attraverso la tecnica dell'ascolto e dell'osservazione del prossimo.
Ci vuole una grande dose di sensibilità e di intelligenza emotiva per scrivere una storia come quella di “Santa muerte”. E Zanca le possiede entrambe.
In poche parole: ci vogliono occhi sensibili e una grande capacità di riconoscere, capire, utilizzare e gestire le proprie e altrui emozioni per comprendere i comportamenti umani, per scrivere una tale storia come ha fatto Zanca, usando la penna ma soprattutto il cuore. Una scrittura elegante, allegra e intrigante. E che siano storie inventate o vere poco importa, quello che conta sono la vita, l'amore, la miseria e il dolore dell'essere umano e la morte così come le racconta l'autore. Soprattutto per parlare della morte, che è davvero la fine di tutto?
Emozioni che pagina dopo pagina accompagnano il lettore per tutta la durata del libro, che risulta essere un libro forte e coraggioso. Parlare e riflettere sul tema della morte non è mai semplice perché la morte dà fastidio, talmente fastidio che la maggior parte delle persone tendono a dimenticare che esista davvero. Basta leggere i tanti post che compaiono sui social per capire che viviamo in un'epoca dove negare l'evidenza delle cose è lo sport preferito di molti. E parlare di morte come lo fa Zanca è cosa rara e straordinaria. Perché l’idea di un killer professionista che lavora per una multinazionale che si occupa di stipulare contratti “di morte” per porre fine alla propria vita, non è solo un'idea originale ma eroica visto che viviamo in uno Stato che rifiuta l'eutanasia e il suicidio assistito.
Molto buona la caratterizzazione psicologica dei personaggi: come Giulia, una ragazza che ha subito terribili violenze, Alessandro, un medico che vive con un senso di colpa, quello di non essere riuscito a salvare un suo amico e quello di Riccardo, il mio preferito, il cui padre è morto suicida.
E poi c’è Leonida, il nostro cinico killer professionista, che pagina dopo pagina si dimostrerà invece un uomo dotato di umanità, sensibilità e un grande senso di giustizia. Quello che di grande c'è in questo romanzo è che l'autore ha scelto, per assurdo, di narrare la storia di un assassino che dispensa la morte, per far portare a galla la grandezza e l'importanza della vita.
A tratti è anche un libro di denuncia degli orrori della nostra società e della nostra classe politica.
Una storia che lascia un messaggio positivo e importante, un messaggio di speranza soprattutto per gli sconfitti: abbiamo tutti un'alternativa alla vita che stiamo vivendo, qualsiasi sia, e che non è mica detto che quella che stiamo vivendo sia la migliore per noi. C'è una grande differenza tra vivere e sopravvivere e soprattutto che “C'è differenza tra chi uccide per mestiere e chi per malavita”, così scrive l'autore.
Dimenticavo: c'è anche la gatta Morgana che... che... per saperlo leggete il libro!