Recensione di "Tra il silenzio e il tuono" di Roberto Vecchioni Einaudi editore.
“C’è un’età della vita in cui si può trovare una voce pura: una voce tra il silenzio e il tuono. Non c’è un altro modo per parlare di sé, forse, quando guardarsi indietro, e dentro, è lo stesso movimento.
E tutto, proprio tutto – le gioie, i dolori, la scoperta dell’amore come quella della morte – è in noi con la stessa forza. Attraverso le lettere di un ragazzo che cresce e di un misterioso nonno, Roberto Vecchioni ha scritto il suo romanzo più intimo e struggente.”
Svariati silenzi e altrettanti tuoni. E questo ciò che si legge in questo romanzo. Cosa c’è in mezzo, cosa c’è tra il silenzio e il tuono? Forse la vita, sicuramente l’amore, il dolore descritto con grande maestria. E come potrebbe non esserci “maestria” quando si parla di Vecchioni?
Cinquantatré lettere, cinquantatré episodi che catturano il lettore ponendolo davanti a una disarmante verità, a una realtà abbagliante. Passato e presente mescolano le carte e, a volte, quelle stesse carte le confondono. Non è un vero romanzo epistolare o perlomeno non lo è nel senso vero del termine. C’è Vecchioni che scrive e narra al nonno, che non gli risponde mai, gli eventi più significativi della sua vita, raccontandoglieli mentre accadono. Lo troviamo a dieci, quindici, trenta, ottant’anni. Troviamo la sua infanzia, la sua giovinezza, il suo amore per lo studio, in particolare per il greco. Racconta delle sue canzoni, dei suoi compagni di viaggio, delle sue donne, dei suoi amori e delle sue canzoni.
E poi ci sono le lettere indirizzate a personaggi come Corrado Augias, al monsignor Ravasi, ad Arnoldo Mosca Mondadori, al comandante dei vigili urbani di Milano… giusto per citarne qualcuno. E in queste lettere affronta i più svariati argomenti: dagli ingorghi stradali a Schubert.
Tutte scritte con dedizione, con cura, con passione.
Uno studente che affronta gli esami che poi diventa un professore che sale in cattedra, che si trasforma in un cantautore che sale su un palco, un marito che ama la moglie e i suoi figli, un uomo che si ammala… ma, soprattutto, un uomo che passa attraverso il dolore più atroce, quello della morte di un figlio.
Vita interiore ed esteriore vissuta tra tuoni e silenzi. Si legge la gioia, si osserva il pianto, si ascolta il lamento. Tutti particolari della vita che Vecchioni ha piacere di condividere con il lettore. E quest’ultimo non può che sentirsi simile a lui. Buttiamo via il nostro tempo cercando di essere migliori degli altri ridicolizzandoci e banalizzandoci, perché il confronto, spesso, brucia sulla pelle. Perdiamo di vista il fatto che solo l’amore può salvarci, può zittire il rumore che viene da fuori, chiudere le bocche di chi chiacchiera producendo suoni ma non parole. Solo l’amore può salvarci dall’oscurità e dall’abbandono. Credo che sia proprio questo il messaggio che, attraverso questo libro, Vecchioni vuole lanciare e lasciare. In fondo provare dolore e provare gioia ci rende umani, ci rende vivi. Spesso questo ce lo dimentichiamo, come scordiamo il fatto che “venire al mondo è stata proprio una gran botta di culo”.
“Nessuna fine ti addormenti l’amore”, scrive Vecchioni mentre parla del figlio che è partito per quel lungo viaggio.
E così deve essere.
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