Recensione de "Il confessore" di Jo Nesbø, Einaudi editore
Siamo a Oslo a fine estate, Sonny Lofthus torna a casa e trova il padre, un poliziotto, morto suicida. Per problemi di droga Sonny finisce in carcere e lì diventa il confessore di tutti, ognuno gli racconta la propria storia. Un bel giorno, però, un detenuto gli rivela che suo padre non si è suicidato ma è stato ucciso. E da qui parte la storia…
È il primo libro di Nesbo che leggo e quindi non posso far raffronti con le altre opere. Forse il fatto che io legga in media un libro ogni due/tre settimane, attività che mi fa rientrare nella categoria degli -accaniti lettori-, mi sta rendendo sempre più severa e molto critica. Bella l’idea, buona la traduzione ma ho trovato in questo libro troppa confusione. Non ho avvertito tensione narrativa. L’atmosfera a tratti pesante e le descrizioni lunghe e arzigogolate, rallentano molto il ritmo di lettura. Ho trovato le situazioni molto improbabili. È un autore cult, non dovrei permettermi di dire queste cose, purtroppo, però, per questo romanzo è andata così. Ne leggerò sicuramente un altro ma più avanti.
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