Recensione de “L’apparenza delle cose” di Elizabeth Brundage edito da
"Un tardo pomeriggio d'inverno nello Stato di New York, George Clare torna a casa e trova la moglie assassinata e la figlia di tre anni sola - da quante ore? - in camera sua. Da poco, con riluttanza, George ha accettato un posto in un college locale come insegnante di Storia dell'arte, e si è trasferito con la famiglia nella vicina cittadina. George diventa subito il sospettato numero uno, e mentre i genitori cercano di salvarlo dalle accuse, un implacabile poliziotto si incaponisce nel dimostrare che Clare è un crudele assassino..."
Una storia drammatica, un giallo psicologico. La storia è molto avvincente ma purtroppo lo stile narrativo a tratti risulta pesante. L'autrice in certi momenti sembra voler fare il verso a un cronista sportivo, raccontando i fatti come se stesse facendo una sorta di telecronoca.
I personaggi, che sono ben caratterizzati, sono molti e alcuni servono solo per fare da sfondo alla storia e per portare a galla le vicissitudini di un'intera comunità che soffre in silenzio, senza trovare la forza di urlare il dolore che via via irrompe senza pietà.
Solo verso la fine si riesce a comprendere il motivo della scelta del titolo. Il messaggio che l'autrice vuole lasciare è che non è così importante come ci appaiono le cose, ma come le cose sono realmente. È quindi necessario non fermarsi all'apparenza ma conoscere veramente le storie di vita di ogni personaggio per capire i suoi difetti, le sue paure e le sue debolezze, e soprattutto per comprendere il suo modo di agire.
Il finale, che è incerto ma di forte impatto emotivo, lascia il lettore con l'amaro in bocca: perché spesso le tragedie possono essere evitate. Basterebbe, poco per fermare una mano omicida. Basterebbe osservare e ascoltare il prossimo.
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